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La questione morale II parte

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Messaggio  Admin Ven 1 Feb 2008 - 1:58

Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto
socialdemocratico europeo. Però a lei sembra un'offesa essere paragonato ad un
socialdemocratico.

Bè, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s'intende) si è
sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla
degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi
margini di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i
problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l'occidente capitalistico, vi sono segni di
crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti
socialdemocratici si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate.

Dunque, siete un partito socialista serio...
...nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo...

Le dispiace, la preoccupa che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?
No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro
interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e
rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro
voti verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non
c'è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti,
il PSI e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che
davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se
invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove
etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, partiti e società, con i
deleteri modi di governare e di amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa
dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese.

Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c'è o no?
Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad
esempio: vedrà che in gran parte c'è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare
che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora
dato alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni -che poi
non è altro che un corretto ripristino del dettato costituzionale- senza la quale non può
cominciare alcun rinnovamento e sanza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta.

Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione
italiana. Perché?

La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei
concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna
denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con
l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la
guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di
costoro, che vanno semmplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione
morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono profare d'essere
forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle
sue cause politiche. [...] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si
continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e
svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.

Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d'accordo sul fatto che il nemico
principale da battere in questo momento sia l'inflazione, e difatti le politiche
economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell'obiettivo. È
anche lei del medesimo parere?

Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la
disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L'inflazione è -se vogliamo- l'altro
rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l'una e contro l'altra. Guai a
dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l'inflazione si
debba pagare il prezzo d'una recessione massiccia e d'una disoccupazione, come già in larga
misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni
impensabili.

Il PCI, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell' "austerità". Non mi pare che il suo
appello sia stato accolto con favore dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi
militanti del partito...

Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di
ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che,
comunque, la situazione economica dei paesi industializzati -di fronte all'aggravamento del
divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e
all'avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza- non consentiva più di
assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la "civiltà dei consumi", con tutti i
guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, tra i
giovani è uno dei segni più gravi di tutto ciò e nessuno se ne dà realmente carico. Ma
dicevamo dell'austerità. Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi,
accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa
della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Dicemmo che anche i
lavoratori avrebbero dovuto contribuire per la loro parte a questo sforzo di raddrizzamento
dell'economia, ma che l'insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di
rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l'avvio ad un diverso
tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo fu il
nostro modo di porre il problema dell'austerità e della contemporanea lotta all'inflazione e alla
recessione, cioè alla disoccupazione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV
Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati.

E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?
Il costo del lavoro va anch'esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto
sul fronte dell'aumento della produttività. Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si
chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli -come al solito- ai lavoratori, mentre si
ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili.
Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande
credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci
sono, l'operazione non può riuscire.

«La Repubblica», 28 luglio 1981

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Messaggio  Admin Ven 1 Feb 2008 - 2:14

L'intervista è ancora molto attuale, anche se Berlinguer fa un grandissimo errore sapendo di farlo: non considera il PCI come attore protagonista della degenerazione politica. I finanziamenti che provenivano dall'Urss erano deplorevoli tanto quanto quelli che venivano dall'Italia, con l'aggravante che in Russia c'era un regime dittatoriale, la Lubianka, i gulag, il Kgb ecc. Viene messa in evidenza quella famosa diversità, che diversità in fondo non è. Noi siamo diversi, siamo i buoni e i puliti gli altri un ammasso di corrotti. Questo schema mentale è entrato dentro molti dirigenti tali da rendersi spesso antipatici per la nota puzza sotto il naso. Un atteggiamento che ancora oggi resiste. Non esiste, e non è mai esistita la superiorità morale della sinistra, al limite esiste una superiorità morale delle singole persone.

Altro aspetto interessante è il riconoscimento di Berlinguer all'economia di mercato, all'iniziativa privata, smontando di fatto la tesi marxiana della proprietà pubblica dei mezzi di promozione. Si considera socialista, prendendo di fatto le distanze dal sistema comunista in voga nel mondo. In un passaggio dice addirittura di voler costruire il socialismo. Chissà che ne pensa Bertinotti, Diliberto, Mussi e Veltroni che si vantano di aver lavorato con Berlinguer. L'errore tragico è che invece di proseguire questa strada, lanciò l'eurocomunismo destinato a fallire nel giro di qualche tempo. Tragico errore poi fu quello del Psi che non assecondo la virata a destra. Ma in fondo questo è un vizio genetico, Bonomi-Turati, Craxi-Berlinguer, diversi contesti, diversi protagonisti, stessi errori.

Ciao Lillo

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