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La questione morale I parte

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Messaggio  Admin Ven 1 Feb 2008 - 1:58

Di fronte alla degenerazione socio-politica italiana ho ritrovato l'intervista che Scalfari fece a Berlinguer da cui nacque l'ancora famosa ed attuale questione morale.
Data la lunghezza l'intervista è divisa in due parti, le considerazioni le faccio alla fine.
Buona lettura.


Intervista a Enrico Berlinguer «I partiti sono diventati macchine di potere» «I partiti non fanno più politica», dice Enrico Berlinguer. «I partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia».
Eugenio Scalfari

La passione è finita?
Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il
piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono
soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei
problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e
passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche
loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure
distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è
ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che
ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di
camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di
nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia,
Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma
per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora...

Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della
crisi italiana.

È quello che io penso.

Per quale motivo?
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno
occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti
culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il
pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel
partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il
Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe
lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni
e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione
dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario
viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela;
un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene
assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà
al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.

Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.
E secondo lei non corrisponde alla situazione?

Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma
vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo
accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del
paese da un pezzo.

La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani,
secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni,
dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto
vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o
sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico?
Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali
elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge
rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un
gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti.
Ebbene, sia nel '74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell'81 per l'aborto, gli italiani hanno
fornito l'immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al
nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai
e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di
poche settimane.

Veniamo all'altra mia domanda, se permette, signor Segretario: dovreste aver vinto
da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive.

In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il
nostro, che va così decisamente contro l'andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li
accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un
partito "diverso" dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità.

Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate
come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d'infedeli: e la gente
diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C'è da
averne paura?

Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara
alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi,
così spero non ci sarà più margine all'equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti
cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere
alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi
sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma
interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo,
controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra
diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?

Veniamo alla seconda diversità.
Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli
emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di
contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi
ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito
vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica
debba essere assicurata.

Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.
Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant'anni di storia alle
spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo
stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo
stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla
direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi.

Non voi soltanto.
È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di
sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e
disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo
che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia,
pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale
sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante.
Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi,
sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si
possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo,
come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di
sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di
barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della
disperazione. È un delitto avere queste idee?

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